Copertine di libri e AI: un mini dossier
Dice un mio amico: «a distruggerci non sarà un’intelligenza artificiale, ma una deficienza naturale»
Pochi giorni fa NNEditore pubblica un post sul suo profilo Instagram in cui annuncia una nuova uscita, La radice del male. Scorrendo le slide mi ritrovo davanti la copertina del libro, con la solita gabbia monocroma e l’immagine – un’illustrazione ritraente una famiglia nel vialetto di casa – incasellata nella N. Immediatamente mi accorgo che c’è qualcosa che non mi convince di quell’illustrazione: nel modo in cui le forme si flettono, nello schema dei colori, e in generale nella sensazione che mi trasmette “a primo impatto”.
La osservo meglio.
Le sagome sono grossolane, i tratti somatici (per quanto stilizzati) poco armoniosi, ma può essere una scelta stilistica.
Le ombre non sono granché coerenti tra di loro: non colpiscono tutti i soggetti allo stesso modo, in alcuni casi con minime variazioni, in altri con differenze sostanziali nella posizione della fonte luminosa. Qualsiasi artista con un minimo di studio e di esperienza saprebbe disegnare delle ombre almeno formalmente coerenti. Che ci sia un messaggio nascosto che mi sfugge?
Poi l’occhio mi cade sulla bambina a cui il padre tiene le mano: una mano che non solo non appartiene a una persona della sua età, ma che si aggrappa a quella dell’uomo dalla direzione opposta rispetto a dove si trova la bambina, e che è collegata a un braccio gonfio, corto, ritorto, senz’ombra.
La possibile conclusione è una e una soltanto: l’immagine è AI-generated.
Quella di usare immagini elaborate da un’intelligenza artificiale è ormai una pratica ben più che diffusa: è quasi la norma.
Nel settore della comunicazione, che risponde alle esigenze di un mondo velocissimo e rischioso, la possibilità di ordinare un prodotto mediale (come un’immagine) e riceverlo a costo (spesso) zero e in una manciata di secondi di tempo dalla formulazione della richiesta diventa, nella logica del liberismo, un’opportunità irrinunciabile. No: un imperativo.
Esemplari di text-to-image, text-to-video, persino di text-to-text proliferano nelle pubblicità delle aziende, nelle pagine umoristiche, nei siti di notizie, nelle mail sia formali che informali, e soprattutto nel mio feed di Pinterest – l’altro giorno ho cercato “victorian girls painting” e per ogni dipinto reale ce n’era uno AI-generated. Uno scrive un prompt, lo “dà in pasto” a ChatGPT o chi per lui, ed ecco che ora esiste una cosa che prima non esisteva e che risponde in maniera più o meno soddisfacente a quello che avevi chiesto.
I casi sopra elencati, tuttavia, appartengono a una categoria precisa di media: sono prodotti fatti per “passare”, per essere consumati e dimenticati, soprattutto data la loro proliferazione incessante – mi permetteranno i miei 25 lettori un paragone con la Maledizione Gemino che affligge gli oggetti nella camera blindata di Bellatrix Lestrange, giuro che non lo faccio più. Queste immagini (etc) compaiono spesso sui nostri schermi per pochi secondi. Uno swipe, e sono persi come un sassolino nell’oceano – un oceano che in pochi anni è diventato pieno di sassolini AI-generated, e in cui sassolini human-made sono sempre più difficili da trovare.
Ma allora perché metterle sulle copertine dei libri? Perché un prodotto di spessore artistico, umano ed etico così infimo (in realtà inesistente) dovrebbe finire per rappresentare e incapsulare un oggetto permanente come un libro?
Come già lamentavo in questa newsletter, ormai anche i libri sono così tanti che quasi sembrano pensati per essere consumati e poi smaltiti – ma non per questo costano di meno. Non credo di dire niente di nuovo o sconvolgente quando affermo che, oltre al dato puramente fattuale del numero di libri stampati, l’editoria italiana è intessuta di cattive pratiche.
Metà dei libri sul mercato è stampata dai grandi gruppi editoriali: questo significa che il 50% di tutti i titoli che vediamo in giro (solo i titoli, perché se pensiamo al numero di copie stampate e alla loro distribuzione, la percentuale aumenta vertiginosamente) risponde prima di tutto a esigenze di carattere economico. La cultura è un mero mezzo, una nicchia che è stata disponibile a un certo punto e che qualcuno ha scelto di insidiare. Per queste realtà, che prima di essere case editrici sono aziende, prendere un’immagine AI-generated significa risparmiare soldi, tempo e risorse umane varie ed eventuali – nient’altro conta, se non il rischio di vedere intaccata la propria immagine, e quindi i possibili profitti, ma per ora niente di serio.
Un altro problema è che, anche tra la media editoria, i nomi più autorevoli sono spesso in mano a gente della vecchia guardia, che è poco attenta e sensibile ai discorsi di umanesimo post-capitalista. Individui formatisi negli anni del boom economico (da cui “boomer”), per molte di queste persone il guadagno materiale è un criterio insuscettibile di decostruzione – è un modo carino per dire che finché vedono i soldi non gliene importa niente di tutto il resto, ma non lo fanno per avidità, è che proprio non ci arrivano.
Solo che importa.
Alcuni casi di copertine AI-generated nostrane sono saliti agli onori della cronaca internazionale (sempre nella bolla, eh!).
Gli autori Rafael Nicolàs e John Scalzi (quest’ultimo un Premio Hugo) non hanno mancato di esprimere pubblicamente il loro disappunto quando si sono accorti che i loro libri sarebbero arrivati in Italia in una veste text-to-image. Nel primo caso, il protagonista di Lucifero. Angels before man (Giunti) che nel romanzo viene descritto con la pelle scura, era invece un twink bianco biondo platino – chiaramente un residuo delle foto di Lucky Blue Smith che giravano su Tumblr quando andavo al liceo. Nel secondo, l’immagine originale della copertina di L’eredità di Charlie (Fanucci) era stata riproposta uguale, solo in una versione AI più brutta.
In entrambi i casi gli editori sono corsi ai ripari, in qualche modo. Per questo hanno smesso di usare copertine AI-generated? Ma neanche per sogno! Per loro si trattava di un caso specifico, una scocciatura, un capriccio da accontentare.
Ora, Giunti e Fanucci hanno una visibilità decisamente invidiabile. Il Gruppo Editoriale Giunti detiene circa l’8,5% del mercato italiano, mentre Fanucci è una colonna nel campo del fantastico che tiene in ostagg… ehm, detiene i diritti di grandi classici come Dune, La ruota del tempo e altri. Non sono gli unici tra gli editori più in vista, peraltro, a fare uso di copertine text-to-imagine. Bompiani, Marsilio, Mondadori e altri non si fanno scrupoli a riguardo.
Ci sono però anche nomi della media editoria che esibiscono nel loro catalogo copertine AI-generated, e non sempre in maniera consapevole.
Qualche anno fa ebbi una discussione con Alter Ego Edizioni sotto il post in cui annunciavano l’uscita di Ventre. L’immagine scelta per la copertina era AI-generated, anche in maniera tragicamente vistosa. L’astrattismo della composizione (con ridicoli scimmiottamenti di simmetria) si mescolava a un volto umano pseudo-realistico dalla finitura lucida, con dettagli insensati che nessuna mente pensante avrebbe avuto ragione di apporre a quel modo.
Dopo aver fatto notare la natura AI dell’immagine, sono stato prontamente attaccato dai soliti fedeli dell’editore – gente della più bassa leva che farebbe di tutto per una copia gratis – e poi è stato l’editore stesso a rispondermi, negando che si trattasse di un esempio di text-to-imagine.
La discussione è poi continuata in chat. Lì, una volta appurato che l’immagine fosse stata comprata da uno stock senza troppe indagini, la mia richiesta di trasparenza per il futuro è stata inizialmente opposta; poi, dopo una discussione sull’importanza del lavoro culturale e su come quella scelta impattasse negativamente sul settore (oltre che sull’immagine della casa editrice), hanno fatto dietrofront, promettendo di fare più attenzione. Nondimeno, altri dei loro titoli, come Maleficium e Il vampiro di Polidori, presentano copertine con illustrazioni AI-generated, che loro lo sappiano oppure no.
Anche nel caso recentissimo di NNEditore di cui sopra, che ho documentato sul profilo Instagram di @trans_literate in diretta, la faccenda si è svolta più o meno allo stesso modo. La differenza è che qui è intervenuto persino l’artista creditato dell’immagine. Questo distinto signore, dopo avermi brevemente sbeffeggiato con un commento poi cancellato, ha rivendicato con convinzione la paternità dell’immagine, adducendo le sue scarse doti artistiche come ragione dei difetti casuali e strutturali dell’illustrazione – come se io non potessi vedere il suo portfolio, peraltro ricco e pregevole. Si è anche un po’ contraddetto mentre mi accusava di essere “rimasto indietro” sui mirabolanti progressi delle AI, ricordandomi che l’immagine in questione era vecchia. Insieme a lui, altri strenui difensori di NNE non sono riusciti a smontare le mie argomentazioni e hanno preferito la via degli insulti. In questa occasione non ho avuto altre risposte dall’editore (finora).
Ora, cosa dice tutto questo sullo stato dell’industria editoriale in Italia?
Molti editori, quando non sono in malafede, sono sicuramente malconsigliati, o più spesso solo ignoranti. Se anche il discorso sulle criticità etiche dei media AI-generated sta ormai bagnando i lidi del mainstream, la capacità diffusa di distinguere un prodotto concepito dalla mente umana da uno text-to-media è ancora un miraggio. Al momento, per quanto ne sono, non esiste un processo automatizzato o uno strumento il cui giudizio in materia è insindacabile – persino chiedere a ChatGPT, che ci crediate o no, presenta margini di errore, proprio perché la macchina non studia il prompt, ma semplicemente confeziona una risposta statisticamente soddisfacente. Sebbene io sia sicuro oltre ogni ragionevole dubbio che le immagini cui ho parlato finora siano AI-generated, questa rimane una mia opinione, non un fatto dimostrabile – lo dico per gli avvocati.
Pur confidando nelle buone intenzioni di chi sceglie le copertine da stock di immagini, la sproporzione tra il tasso di esemplari text-to-image che infestano questi siti e gli addetti ai lavori editoriali che (non) sanno riconoscerli potrebbe essere allarmante. A questo punto, se non si riesce o non è conveniente formare una classe di professionisti in grado di individuare un media AI-generated (considerando che i progressi delle AI sono molto più veloci di qualsiasi corso di aggiornamento), e se persino artisti in carne e ossa spacciano elaborazioni artificiali per opere del proprio ingegno… allora è chiaro che il marcio non parte dai margini del sistema, ma alle fondamenta.
Ma a essere eloquenti sono anche le risposte degli utenti.
I lettori, in particolare, sono una categoria veramente poco attenta, rispetto ai fruitori di prodotti visivi. Lo si vede dai commenti dei post degli editori che mostrano fieramente copertine AI-generated, sempre inondati di commenti del tipo «oddio non vedo l’ora di leggerloooo», «copertina stupenda come sempre», «mi odiate, volete farmi finire tutti i soldi», «toccherà comprarlo» e altre grida d’immolazione alla FoMO.
A essere venuta a mancare è la conoscenza di una grammatica dell’immagine (e dell’arte in generale), e sono in pochissimi a darne il triste annuncio. I prodotti mediali mainstream che consumiamo sono di qualità sempre più bassa: ovvi, didascalici, spettacolari nel senso peggior del termine, sono fatti per essere consumati con superficialità, magari mentre facciamo le faccende in casa, mentre aspettiamo in fila dal medico o siamo sui mezzi o lavoriamo.
La bellezza artistica è il prodotto di una fatica inverosimile, un miracolo che si compie di volta in volta. Ma di questo suo carattere titanico noi abbiamo completamente perso la cognizione.
Una volta per fare esperienza estetica bisognava aspettare alcuni momenti del giorno o della settimana, e magari recarsi in luoghi specifici. Anche data la scarsità delle “occasioni” estetiche, davanti a un’opera si poteva rimanere in contemplazione o tornarci a più riprese, e scoprirne aspetti nuovi, farci sorprendere da una profondità che credevamo di aver esaurito.
Oggi chiaramente non è così. I media quasi ci saltano addosso, e tutti siamo chiamati a vedere e sentire, a partecipare a questa messa incessante. Un tempo c’erano i momenti di esperienza estetica, adesso questa è un processo continuo e senza possibilità di interruzione diversa dal sonno – dove pure spesso s’infiltrano gli stimoli di un carnevale di schermi senza fine.
A farne le spese è stata la bellezza stessa, da energia divina a “macchina per fare soldi” – quest’ultima è una definizione di AI che è stata realmente proposta.
Il risultato è che, avendo smesso di fermarci a guardare, a sentire, privati della rarità religiosa di quel momento, non sappiamo più cosa sia l’arte, e per questo è facile ingannarci a riguardo.
Diversi dei commenti che ho ricevuto in risposta alle mie perplessità sulle “presunte” copertine text-to-image suonavano all’incirca come: «non hai mai sentito parlare di “scelta stilistica”?».
Io sì.
E loro?
Loro lo sanno cos’è una scelta stilistica? Ne hanno mai fatta una? Lo sanno che ogni scelta ha una sua logica, delle ragioni, una coerenza? Lo sanno che dietro quella cosa che loro vedono per un secondo e mezzo e poi dimenticano ha impiegato anni per trovarsi lì? – dal tempo materiale impiegato per realizzarla a quello della riflessione preliminare, allo studio condotto dall’artista. Evidentemente no, perché non hanno idea della grandiosità sconvolgente di quell’apparizione che sui loro schermi è come – lo sto facendo di nuovo, perdonatemi – una figurina delle Cioccorane, che non può stare mica lì tutto il giorno! No, loro vedono quella cosa per una manciata di secondi, e una manciata di secondi sarà anche il tempo in cui è venuta al mondo.
Allora cosa possiamo auspicarci, a questo punto? Una jihad butleriana alla Dune maniera?
Tutt’altro. L’intelligenza artificiale può davvero aiutarci a svolgere quegli aspetti più tediosi e meccanici dei nostri lavori, oltre che formulare analisi predittive impensabili per noi, e che sarebbero utili in molti settori. In generale, dice bene chi dice che «è uno strumento, tutto dipende da come lo usi».
Ma chi sta impugnando questo strumento? Noi, o piuttosto i burattinai del capitalismo? Siamo noi che possiamo scegliere come usarlo, o siamo l’oggetto della scelta?
Il mio pensiero, umile e utopistico, è che dobbiamo renderci conto, come comunità, dello sforzo collettivo che potremmo opporre ai capitalisti che hanno infiltrato le loro viscide maniere nel tempio dell’arte.
Dobbiamo capire che la produzione culturale non può stare alle loro regole. Nel caso del settore editoriale, stampare libri *non è* semplicemente un diritto di chi può pagare le stamperie, ma fa parte di un’opera di umanesimo più grande che trascende il tempo e il luogo. Ogni euro che un editore risparmia su una componente umana del lavoro non è solo denaro tolto a chi il settore lo fa stare in piedi – senza gli esseri umani, le AI non avrebbero da chi copiare – ma è anche un ulteriore passo verso l’impoverimento intellettuale dell’umanità stessa.
Disabituandoci alla complessità diventiamo vulnerabili. Oggi c’è chi afferma che «ChatGPT fa le cose meglio di me». Ma non è *solo* l’AI che sale verso il tuo livello la tua intelligenza, sei tu che stai venendo addestrato per abbassarti al suo, anche se non lo sai.
Ovviamente qui non si fanno roghi di libri né tantomeno di editori, ma si possono rinforzare pratiche più sostenibili. In questo caso si può boicottare chi usa copertine text-to-image, oppure pubblica testi machine-translated, o edita con ChatGPT. Soprattutto, il nostro sdegno non può essere taciuto per paura di inimicarci qualcuno nella bolla. Lo dobbiamo a noi stessi, oltre che a quelli a cui lasceremo i nostri libri in eredità – ammesso che, per allora, avremo ancora il possesso delle nostre cose, e non sarà tutto un grande abbonamento.
Conclusioni simili da uno che ha un punto di vista diverso: spoglierei l’arte dalla mistica (nessuna ‘sacralità’ del tempio) ma vorrei anche spogliare chi si mette di fronte a quel tempio e fa pagare l’ingresso - i cosidetti ‘gatekeeper’, che poi sono gli editori e i markettari stessi. Se questo fosse possibile lo strumento resta uno strumento. Più in generale l’assegnazione di valore economico a un lavoro artistico è sempre una procedura rischiosa
Grazie, interessante. Se fosse vero mi dispiacerebbe molto, perché NN mi piace. Probabilmente non avrei notato i dettagli che hai notato tu, ma a colpo d'occhio quel sepiolina mi fa pensare ad Open Ai, sí, quindi capisco perché tu ti ci sia subito soffermato. Ripeto che, se cosí, spero davvero che NN faccia un passo indietro, è un ottimo editore e sarebbe un peccato sminuire cosí i suoi bei libri.